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Venerdì 8 Maggio 2015 - Valeria Serofilli incontra l'autore Luigi Cannillo

Incontri al Caffè dell'Ussero di Pisa > Incontri Letterari 2015
SENSO, SOSTANZA E SACRALITA’ DEL VENTO DI LUIGI CANNILLO

Nota di lettura (.pdf) di Valeria Serofilli a Galleria del vento, (La Vita Felice edizioni, Milano 2014) di Luigi Cannillo.

È un elemento invisibile ma presente e attivo, in grado di far percepire la sua forza e la sua influenza, il vento. È possente e vitale, pur nella sua apparente inconsistenza. La parola stessa, in un certo senso è simile al vento anche se spesso sembra priva di corpo, di materia e sembra sfiorare le cose senza poterle mutare. Di sicuro non ha il potere di colmare il vuoto e di guarire le ferite del lutto, dell'assenza, eppure, anch'essa, in modo impercettibile ma tenace, scava, muta le cose, le rimodella. È necessario trovarla, o almeno ininterrottamente cercarla, per provare a dare un nome perfino alla morte. Ci si esercita, allora, si sperimenta, ci si fa modelli di calcoli sulle traiettorie, sulla portanza e sull'aerodinamica.
Questo libro di Luigi Cannillo è unsentito resoconto di tali esperimenti provati e registrati in prima persona: vi si descrivono gli effetti del lutto e il tentativo di andare avanti, nel vento della vita.“Siamo i lembi separati da sempre/ da sempre ricongiunti/ destinati a inseguirci/ e fuggire appena sfiorati”, scrive Cannillo (pag. 33), dando voce a questo alternarsi costante di necessità e fragilità, vicinanza e abbandono. Come in altre opere dell'autore è il corpo il termine di paragone, la bussola e la tempesta che scombina le carte, smarrisce e fa smarrire. Ma il corpo è anche parola, o meglio la misura della corporeità può trovare un riferimento concreto e ideale nella parola che lo descrive e lo orienta allo stesso tempo. Il corpo è senso, inteso come immediatezza della percezione e dell'istinto, che tuttavia è lanciato verso la ricerca di un senso da intendere come significato, fosse pure la logica dell'illogico. Del resto la vita nasce con la sicurezza amara e spiazzante della morte già insita in sé, nel suo patrimonio genetico. Tra questi estremi si deve muovere il pensiero cercando di esistere e di resistere.“Chi scuote questa galleria del vento/ dove oscillano fiori e fondamenta/ e palpitanti ci animiamo?” (pag. 11). Esordisce così, il libro. I primi versi racchiudono, come è giusto e coerente, una domanda, destinata a non avere una risposta o ad averne di infinite, una per ciascun destino individuale. In entrambi i casi, nessuna certezza assoluta, ma è questo il senso, il succo, la sostanza del vento, per così dire. Cannillo in questo suo libro alterna spunti filosofici con descrizioni di azioni e oggetti concreti, quotidiani. I due elementi messi in parallelo si rafforzano a vicenda: la filosofia diventa più umana, densa di sostanza concreta; agli oggetti e agli eventi viene conferita o meglio restituita quella “sacralità laica” che è propria di ciò che è intimamente connesso alla fatica e all'arte del vivere giorno dopo giorno. Nella prima epigrafe del libro (pag. 13), del resto, Roland Barthes, sintetizza, seppure su basi differenti, facendo riferimento al lutto legato alla perdita della madre, l'essenza e la necessità di “mantenere il suo ordine domestico, quell'alleanza tra etica ed estetica che era la sua incomparabile maniera di essere, di affrontare la vita quotidiana”.Il senso si lega al suono tramite un tessuto di assonanze non artificiose, quasi a tentare di dare alla mancanza, al lutto e al vuoto, almeno il beneficio del suono, della musica naturale. “Così che il tempo che si seguiva innocuo/ accelera e sorpassa verso il vuoto” (pag.15), scrive Cannillo nella lirica che apre la Sezione “L'ordine della madre”. Sembra quasi di poter percepire il sibilare di quel sorpasso progressivo e brusco allo stesso tempo, un ossimoro percepito con dolore solo quando è troppo tardi per opporvisi, ammesso che sia stato possibile farlo, in qualche momento. Le parti descrittive affiancano quelle meditative, come, ad esempio, nella lirica di pagina ventisei, in cui partendo da un giardino e da una fontana l'autore giunge a ragionare sulla “natura [che] si prodiga/ anche verso i morti”. La volontà si innesta sul progetto di mantenere un contatto che non sia solo mentale, ma che affondi le radici negli elementi di base dell'esistenza, terra, acqua, aria. Quegli stessi che alimentano e sostengono il corpo, ancora una volta asse portante della poetica di Cannillo. Partendo da questa base, si può tentare un salto verso il più scosceso dei dirupi, il futuro, il futuro con il fardello delle assenze. Nella lirica successiva, quella di pagina ventisette, compaiono verbi che accennano ad un potenziale domani, anche se restano, ineluttabili, le parole della madre, sia la voce che lo scritto, unite nelle lettere che sembrano ancora parlare con “la loro voce ferma”.Nella Sezione dedicata ai dodici segno zodiacali, si correlano gli elementi distintivi di ogni segno con le caratteristiche proprie di alcuni tipi umani. Viene posta in connessione l'osservazione del comportamento con la somma delle azioni, creando un legame il cui scopo sembra quello di ragionare ancora una volta, con un tono più lieve, su considerazioni di carattere generale e sugli orientamenti dei destini.La Sezione successiva è quella a cui si è fatto varie volte riferimento: “Il rovescio del corpo” (pag. 43). La corporeità, dunque, ma percepita tramite approcci e punti di vista altri, alternativi, per vie tortuose che tuttavia conducono a tratti a visioni di ampio respiro. L'epigrafe della Sezione è tratta da Nietzsche e pone fianco a fianco il corpo con la ragione, come poli contrapposti ma conciliabili. O meglio, coincidenti, nell'istante in cui si parla e si evoca la grande ragione del corpo. La civiltà tedesca, rappresentata in questo caso da Nietzsche, è studiata da Cannillo sia per ragioni professionali che per passioni e affinità letterarie. Vi si trova esaltata la coesistenza tra musica e filosofia, razionalità e astrazione, un terreno ideale anche per una poesia che aspiri ad andare oltre l'immanenza per tentare di riflettere su prospettive di ampio respiro. Il progetto è quello di ritrovare una purezza primigenia, anche nell'ambito del pensiero, liberandosi da vane sovrastrutture. Come, per fare uno dei molteplici esempi possibili, nella lirica di pagina cinquantatre: “Nel tuo mondo senza numeri/ ti restituisci agli elementi puri/ Il desiderio ormeggia al confine/ sulla soglia irremovibile del corpo”. Resta tuttavia, come pena ma anche come paradossale ricchezza, la soglia invalicabile dell'imperscrutabile: “Contemplo ad occhi spalancati/ quello che tu vedi ad occhi chiusi”.L'ultima Sezione “Berliner”, racchiude cartoline di viaggio da Berlino, ritratti e panoramiche attente di una città che non è solo un luogo fisico ma anche e forse soprattutto un luogo della memoria e del mito, del sogno, a tratti dell'incubo, sempre e comunque un avamposto e un territorio di confine di un'umanità spesso cupa e seria che a bocca chiusa si muove nel vento.Un libro composito questo di Luigi Cannillo, in grado di unire varie fasi del tempo, suo personale e del mondo, e differenti stati d'animo, osservazioni e spunti per un ragionamento che non è mai sterilmente freddo e anodino ma sempre conscio della fragilità e della forza della componente materica. La ragione si rende corporea e viceversa. Senza pretendere di offrire soluzioni assolute, Cannillo condivide con il lettore, con sincera onestà, momenti di dolore in cui si sperimenta la solitudine di fronte al mistero. Non offre risposte ma trova domande adeguate, quelle che è necessario farci tutti, mentre percorriamo i tratti di strada che ci toccano in sorte con il vento che a tratti ci spinge e a tratti ci sferza: “sono lampi e scatti nel corridoio buio,/ e sulla pelle vetro si alterna/ a velluto, nel vortice che scorre/ sul tappeto o si impenna/ un capitano naviga il destino”.
Valeria Serofilli
Pisa, 8 Maggio 2015


 
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