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Venerdì 5 Dicembre 2008 - Pisa - ore 17:30 - Sala Edizioni ETS - Presentazione del volume di poesie Varia e libera Musa di Paolo Stefanini

Incontri al Caffè dell'Ussero di Pisa > Incontri Letterari 2008
LA MUSA VARIA E LIBERA DI PAOLO STEFANINI

E' senza dubbio varia e libera la Musa cui s'ispira Paolo Stefanini in questa sua raccolta poetica.
Varia sia dal punto di vista del linguaggio usato che per i temi affrontati: l'autore spazia infatti dalla lingua al vernacolo, da tematiche soprattutto quotidiane che tuttavia assumono valenze di più ampio respiro, ad altre di carattere più astratto, senza tuttavia mai perdere il contatto con la realtà.
Questa sua impostazione conferma e conferisce ulteriore spessore all'aristotelico: <<La poesia è qualcosa di più filosofico e di più elevato della storia; la poesia tende piuttosto a rappresentare l'universale, la storia il particolare. >> (Poetica, 9).
Filo conduttore della raccolta è infatti una poesia del quotidiano, coerentemente espressa con ironia e con deliberato intento dissacratorio. Fin dal libro d'esordio Di lingua e di linguaccia, Stefanini ricorre tuttavia ad una forma tradizionale e ampiamente codificata: quella del sonetto caudato o sonettessa (per esempio, partendo dalle terzine: CDC - DCD - dee - effe), il cui "pungiglione", come la coda di uno scorpione, va a colpire poeti ermetici e crepuscolari:

<<a tristi ermetici, crepuscolari -
tranquillo - la tu Musa 'un gnela da.>>
(da "Ir sogno poetico")

<<Dopo il Pascoli, io accuso,
di mestizia invece è abuso:
(…)
Io l'ermetico ricuso:
su poeta in alto il muso!
(…)
O D'Annunzio torna suso!>>
(da "Poetiche in uso, poetiche in disuso")

Tutto ciò non per un antintellettualismo sterile e fine a se stesso ma per la natura stessa della poesia di Stefanini, che risulta essere fin dalla prima lettura, l'opposto dell'ermetismo.
Stefanini è a favore della linearità d'espressione che tuttavia non equivale a banalità, e non ha timore di allinearsi al pensiero di Gesualdo Bufalino che ne Il Malpensante esclama: <<Scrivo poesie che si capiscono. Devo sembrare un cavernicolo!>>
Tale linearità, è bene ribadirlo, non deve essere confusa con un'eccessiva semplicità.
Al contrario, Stefanini ha un concetto molto alto della poesia e della sua funzione.
Nella lirica che dà il titolo alla raccolta Varia e libera Musa, scrive:

<<Ti rivogliamo accanto
varia e libera Musa
a dare un verso - e un senso -
a quotidiana vita.>>

Poesia quindi come cura e barriera contro la violenza, la confusione e l'assurdità dell'esistenza e di una società sempre più distrattamente vacua e materialista.
Poesia rigorosa come correttivo a tutto ciò, è la ricetta che Stefanini indica con ironia ma anche con convinta passione, e il rigore si estende anche a tutto quel che distingue la poesia dalla prosa: la metrica, quindi, o perlomeno un rispetto coerente del ritmo interno ai versi.
Scrive l'autore in una sua riflessione dal titolo "Ma son tutti poeti?":
<<Non c'è dubbio: per scoprire se c'è poesia, se c'è verso - piuttosto che semplice rigo di scrittura - dobbiamo astrarci da tutto e vedere se c'è il ritmo, elemento in più rispetto al significato e al significante.>>.
C'è ironia nelle liriche di Stefanini e altrettanta autoironia, ma c'è anche, in uguale misura, un'adorazione disincantata ma tenace della Musa, invocata e respinta, offesa e di nuovo cercata. A questo riguardo si vedano in particolare le liriche "Musa malvagia", "Caffeinica Musa", "Dov'è la Musa", "Filli", "Tale il tuo verso a me".

Caffeinica Musa,
che mi tieni con gli occhi spalancati!
Per ogni notte bianca che mi stampi
Ti prometto una pena,
un tormento che valga espiazione.
(…)
(da "Caffeinica Musa")

Il volume è suddiviso in sezioni in cui, oltre alla lirica "Varia e libera Musa", intendono assumere la caratteristica di dichiarazione di poetica anche "Avviso al lettore", "Elogio della pagina bianca", "Ingredienti dell'ispirazione", "Poeti farzi e poeti veri".
Alla base del fare poesia di Paolo Stefanini vi è un atteggiamento complesso e polivalente: dietro i temi apparentemente lievi, esposti spesso attraverso il vetro deformante dell'umorismo, c'è in realtà sostanza e coerenza, così come la volontà costante di esaltare la sacralità della poesia, il suo potere di parlare anche di cose concrete senza rinunciare tuttavia a suggerire il buon senso, il gusto del vero e dell'autentico, la bellezza che si nasconde dietro la polvere del tempo.
Il tutto tramite una Musa varia che spazia da un argomento all'altro quale dal nonno ciclista all'ottimistico amico Roberto o alla barca Veletta, da un aspetto all'altro del vivere e del sognare, senza mai rinnegare la sua fonte di forza e originalità, il suo spirito più libero, genuino e sincero.
La lirica "I fiori" parte da un impianto classico, quasi petrarchesco che risale addirittura a modelli precedenti, il più evidente dei quali è quello catulliano.
Si confronti il ritmo incalzante e ricco di interazioni dei versi seguenti:

<<mille di primavera
cento bianchi d'inverno
cento rossi d'estate>>
(da "I fiori")

con:

<<Dammi mille baci, e ancora cento
poi nuovamente mille e ancora cento
e dopo ancora altri mille, poi cento>>
(Catullo, Poesie, V, 7-9)

per giungere però ad un ribaltamento finale di grande effetto che contraddice il senso senza tuttavia togliere niente all'intensità e all'evocatività dei versi precedenti:

<<tutti ma proprio tutti (i fiori)
anche quelli incantati
del giardino del re
non hanno il tuo profumo
neppur lontanamente,
non valgon proprio niente
son solo pot-pourri>>.

Alla delicatezza dei fiori ben si sposa la levità della farfalla che coinvolge nel suo volo anche l'autore.
Il componimento "La farfalla" conserva infatti la stessa delicatezza dello schiudersi e dell'aprirsi delle ali di questo meraviglioso insetto, la cui vitalità ben incarna l'ispirazione poetica mentre il polline lasciato sulle dita dalle sue ali ben corrisponde all'inchiostro che per sempre sigilla sulla carta la poesia:

<<(…) con un palpito d'ali sei passata
lasciandomi la scia della tua vita:
polline colorato sulle dita.>>
(da "La farfalla")

Nei versi finali della lirica "I tempi" vi è invece tutta l'imperfezione e la precarietà dell'umana esistenza:

<<Interrogo lo specchio: quale schiatta
e quale tempo è il mio?
Mi risponde in gran coro ogni difetto:
il tuo è l'imperfetto!>>
(da "I tempi")

L'errore consiste nel cercare certezze nei miti passati o perdersi nell'utopico vagheggiamento del futuro o, ancora, essere troppo radicati nella realtà presente.
La soluzione? Neanche il magico specchio della strega di Biancaneve ce la può fornire.
Per concludere, l'autore affianca a liriche in cui è evidente una linearità di pensiero e di ispirazione, altre di riflessione sulla condizione dell'uomo e di forte carica autoironica. Una poesia che "si capisce", questa di Stefanini, scritta sempre senza cercare apparenze e appartenenze.
Valeria Serofilli

Pisa, 5 Dicembre 2008



 
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