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Le rondini pazze di Mario Gori

Renata Giambene
Mario Gori (vero nome Mario Di Pasquale) seppe soffrire in silenzio ed in silenzio si allontanò da noi come se avesse potuto ritornare da quel lungo viaggio che stava per intraprendere. Non un gemito, non un'imprecazione sortì dalle sue labbra sempre sorridenti pur nel grande abbandono. Ed in ciò sta la grandezza morale del poeta. Il suo viso emaciato se denotava un'infinita tristezza, lasciava apparire i segni evidenti di una serenità che era la vera, reale forza di Mario Gori al cospetto del grande evento che stava per maturarsi e che lo sovrastava ma non l'abbatteva.
Aveva conosciuto il dolore degli altri e vi si era immedesimato. L'aveva cantato con cuore commosso ma con quel senso di ineluttabilità che possiede soltanto chi conosce a fondo la vita del mondo. E quando quel dolore l'ebbe dentro di sé, intimo, sentito, tutto per il male che aveva minato la sua forte fibra, forse comprese allora tutta la bellezza e tutto il fascino del suo pensiero. Fu in quel momento che Mario Gori conobbe la validità della sua arte poetica intesa ad eternare una forza, appunto quella del dolore, che fa parte della vita dell'uomo e, se qualche volta essa sembra lontana per quel gioco del destino che sottrae, ma per breve tempo, all'essere umano la nube oscura dell'infinita tristezza, essa ritorna più imperiosa che mai quasi a scuoterci da un sogno che è durato <<l'espace d'un matin>>.

Giuseppe Blanco, da <<Mario Gori e la sua musa>>.


                      RAGUS'ERA
RAGUSA, 8 SETTEMBRE 1973
La poesia che ispira, che guida, nel nostro tempo, per una revisione dei sentimenti dell'uomo, contro la malvagità, contro tutte le ingiustizie è da considerare con particolare attenzione. Non serve soltanto vivere supinamente, accontentandosi del risultato quotidiano, occorre alimentare le capacità d'amore insite in ogni individuo.
Nelle poesie di Mario Gori è l'amore per tutti il cardine principale. Gori non poteva essere felice, perché è proprio questa felicità dell'esistere che sentiva mancare negli altri e che lui tentava di sostenere con la sua fede nei sentimenti puri, onesti, buoni. Quando sembra che parli di sé, parla di te, lettore, di noi, amici, di tutti ed è il suo modo di farsi passione nel prossimo. Il suo cuore era la porta aperta per tutti, la sua grande forza, la sua eternabilità. Nel guardarci con i suoi grandi occhi splendenti, prima ancora di parlare, esprimeva l'invito a questa necessità di doverci comprendere. Il segno della sua pena, il segreto del suo struggimento, sono tutti qui a illuminare le sue pagine.
Circa un anno fa è uscito, a cura di Giuseppe Blanco, un volume che raccoglie memorie, poesie in lingua e in dialetto siciliano, racconti, brani di Mario Gori, testimonianze e saggi di critici alla sua opera. Recentemente, Santo Calì, nel suo perfetto volume Saraceni di Sicilia, ha dedicato un ampio discorso critico a Mario Gori. Sono, questi, i primi segni tangibili dell'amicizia che Mario continua a suscitare intorno a sé o di interesse per il suo lavoro.
Nella poesia di Gori, nella sua narrativa vi è una forza stupenda di bene, un ideale di vita, un sogno delle cose e rileggere queste sue pagine è come entrare nel nostro cuore e ascoltarlo. Nella sua vita di tutti i giorni è scopribile questa continua dedizione d'amore.
Non vi sarebbe progresso per l'umanità, se non avessero lasciato il loro segno indelebile poeti come Mario Gori. La ragione umana, troppo spesso degradata, avvilita, trova nel poeta un motivo di riscatto dall'assassinio perpetrato per generazioni, dove, troppo odio e sangue sono stati impastati nel nome di falsi ideali ed assurde imprese. Nella donazione del proprio amore non vi è offesa; nella donazione del poeta vi è la presenza dell'amore, l'alga della giustizia per ogni travaglio. Gori non ammetteva differenze di classi sociali, di razze, non ergeva, fra sé e gli altri, frontiere, non accettava la guerra in alcun modo e in tutte le sue liriche sono rintracciabili questi assunti: non una fraternità di tipo legale, con regole e guardie armate, ma l'avvento di un mondo unito e civile, dunque.
Le sue poesie camminano sulle labbra dei giovani
Quando dal primo volumetto giovanile Germogli, tutto pervaso di fremiti e di indizi, si passa a un Garofano rosso, accade il pieno di questa poesia, in quello che è di esprimibile dell'umano.
La fatica, il sole cocente, i <<picciotti>>, le donne vestite di nero, non sono soltanto sangue amaro di Sicilia, materia calda di una regione, ma l'intensa documentazione di una società visibile ovunque, nel nostro paese e in ogni angolo di mondo dove i diseredati scontano le loro lacrime in silenzio, il silenzio cupo della disperazione.
Il risultato stilistico di queste liriche è l'impronta della natura generosa del Gori, sempre desta a scoprire, negli altri, il <<meglio>> per sentirsi vivere in una tumultuosa memoria, dove il sentimento dell'infanzia lo aiuta a liberarsi dalle insidie e dai fantasmi della maturità in uno spazio sempre più vasto di visioni e segni e nel crescendo di sicura padronanza verbale. Anche nelle sensazioni di stati d'animo si scopre chiara, precisa, la sua attenzione alla vita, decantata attraverso il filtro della poesia. Quest'uomo, trapassato a quarant'anni, ha lasciato un lavoro che possiamo dire compiuto in almeno un doppio di anni; gli inediti: liriche, racconti, note per <<Taccuino delle ore perdute>>, poesie in dialetto siciliano, lavori di teatro, sono tanti e di tale qualità che non vi potrà essere disattenzione da parte dei critici, man mano che verranno pubblicati.
Il lavoro di Giuseppe Blanco, amico d'infanzia del Gori, che ha voluto, con modestia e affetto fraterno, compilare il volume antologico, (sopra accennato), poco tempo dopo la scomparsa fisica del poeta, merita la considerazione degli amici e il rispetto di quei critici che sanno vedere bene e a fondo, al di là di un titolo, di un tipo più o meno raffinato di edizione. Questo devo dirlo senza acredine polemica e per dare tempo ad alcuni di ravvedersi, di uscire dal loro chiostro dove si raccolgono per beneficiarsi l'un l'altro, guardando da uno spioncino fuori del loro guscio con sulle labbra pelurie di <<sottobosco>>, (termine caro in tempo di parate in stivaloni), ma che mi viene dalle labbra proprio di questi, oggi saldamente avvinghiati, più o meno scopertamente, a tronchi politici antitutto. L'avvertenza vuole aiutarli benevolmente a sopravvivere, perché le loro qualità, un tempo floride, di scrittori e poeti, non abbiano a perdersi, ad estinguersi. Non basterebbe il pezzullo firmato da un noto letterato a tirarli fuori dalla loro inedia; smettere di essere invidiosi, fa male, aridi, fa male, sospettosi, fa male; debbono smettere di pugnalarsi alle spalle e di pugnalare quanti ancora credono in quello che di buono hanno fatto, quando erano sani di sentimenti e liberi. Non crediate che stia divagando: Mario Gori, dalla sua attuale posizione, mi sta approvando. Recentemente ne ho veduto alcuni di questi esemplari: uno sogghignava e non si sapeva per chi; un altro rideva da solo di battute scadenti, considerando il personaggio, soprattutto perché, proprio fisicamente, veniva l'impressione di una presenza scheletrica, catalettica; un terzo parlava forte di articoli impegnati, di un suo giornale, del suo lavoro in redazione che non gli permetteva di sfogliare un volume che non portasse la palandrana di un grosso editore e nel dire queste cose, si gonfiava tutto, respirando grasso sudore accumulato in anticamere politiche. Io ho molto rispetto per i defunti di questa specie e spero sempre nel miracolo di Lazzaro.
Mario Gori è fatto tutto di un'altra terra, di quella buona terra fertile e contadina, per questo vive ancora e le sue poesie camminano sulle labbra dei giovani.
Un artista vero
Gori ha un posto di primo piano anche nella poesia in lingua siciliana; Ogni journe ca passa è un volume mirabile ed è, come scrive Santo Calì <<…una pena nuova che ti assale, un ricordo antico che ti tradisce, una speranza sicura che si mortifica>> e, più avanti, <<Mario Gori conosce solarità ed eclissi mediterranee; albe sconfortate di fiducia e tramonti insospettabili di conforto…>>.
Della poesia di Mario Gori si sono occupati, con scritti, recensioni, saggi, uomini di indiscutibile valore letterario ed umanistico, quali: Ravegnani, Titta Rosa, Compagnone, Sciascia, Villaroel, Vergani, Vico Ludovici, Di Paola, Ruggi, Accrocca, Repaci, Rosso di San Secondo, Quasimodo, e numerosi altri. Ricordo quando Mario vinceva un premio di poesia e di narrativa, (ne ha collezionato un numero incredibile), era felice come un bambino al quale si faccia vedere un pacco perché ne scopra il contenuto. Ne era felice soprattutto per la sua famiglia, per la moglie Nives che adorava, per la sua bellissima bambina, Maria Elisabetta, che, diceva: <<Mi fa vedere Dio>>. Anche le lettere che ha lasciato, quelle che la moglie e gli amici conservano, potranno e dovranno essere raccolte in volume. Poesia densa anche nelle lettere, vera, sofferta, spesso drammatica.
I critici, spesso, scoprono accostamenti con altri autori, per le opere alle quali pongano riguardo. Forse questo li aiuta a scrivere con più ampiezza, ad arzigogolare meglio nei loro rimestamenti; ma io non credo che un poeta, uno scrittore, un artista vero, abbia in sé, nelle sue creazioni, voglio dire, tessuto di altri; semmai si può trattare di contenuti simili, ma è lo svolgimento personale che permette ad ogni autore la qualificazione di una sua fisionomia. Anche nella modulazione di un verso, nel ritmo che sostiene un'opera, si potrebbe vedere un particolare influsso; ma, mi domando, serve a qualcosa, questo? Serve al lettore il parallelismo, il funambolismo? Forse per una storia della letteratura, per il letterato, dunque, non per il lettore. Il metodo nuovo, se si vuole chiamarlo tecnicamente metodo, deve essere la scoperta dell'individuo nelle sue sfumature, nel suo valore sul piano pratico delle innovazioni suggerite, captate nella sua opera. Nei suoi numerosi saggi di critica, Mario Gori seguiva, per così dire, questo modulo e i risultati ci vengono a dare ragione. Una ballata del Gori, che spesso mi viene alla mente, esemplare e veramente irripetibile, scritta in dialetto siciliano, è “Cincu e deci”; mi sembra, proprio per quello sopra detto, doveroso riportare un brano dello studio di Calì per questa lirica: <<Indagare, con l'aiuto di un Pitrè, sulle origini della ballata, cercare di penetrarne le matrici storiche o cronachistiche, tentare di chiarire il senso della parola o della frase, sarebbe qui oltremodo presuntuoso e aleatorio>>.
La sicilianità di Gori è un modello di moderno timbro nell'arco di poeti del sud. Esempi ne sono: “Emigranti”, “Ritratto”, “Sud”, “Catoi”, “Lupara”, “Racconto”, . Possiamo dire che, con la sua poesia, ha fatto scuola a un numero incredibile di imitatori del suo genere. Alcuni hanno grattato addirittura a man bassa nei suoi versi. Il critico attento se ne è accorto; quello superficiale dovrà ritornare a modificare certe rivelazioni avventate. Ma l'esito più ricco della sua liricità, è certo più sorprendente quando, staccatosi dal filone meridionalistico, si configura nella macerazione della confessione <<… mi trascino inquieto / sul selciato dei portici deserti / quest'ombra lunga. Oh, Dio, com'è gigante / l'uomo nell'ombra e piccolo nel cuore!>>, in quel <<Notturno pisano>>, che raccoglie tutti i fantasmi del distacco dalla sua terra ed accoglie figure di personaggi reali e di ambiente dove è lecito misurare un tempo storico valido per l'uomo di oggi, un classico, dunque, del nostro novecento; questo lo hanno sostenuto uomini di critica come Ravegnani, Titta Rosa, poeti come Villaroel, Quasimodo e lo fanno intendere le migliaia di persone che lo hanno applaudito, festeggiato nei recitals da lui tenuti in ogni parte d'Italia, nelle traduzioni fatte in molte lingue all'estero di questo “Notturno” e di molte altre poesie, lo confermano i lettori nuovi che non lo hanno conosciuto di persona. L'importanza della sua poesia è stata testimoniata dalla critica più obbiettiva.
Quando Gori, appena adolescente, cominciò a scrivere liriche, nel nostro paese prosperavano ancora le tendenze: dagli scrittori della <<Ronda>>, agli ermetici, ai neo-realisti fino all'avanguardismo occhieggiante, frutto e conseguenza del futurismo. Mario Gori, se trovò una più intima convergenza, fu certo verso un suo romanticismo, più rispondente alla sua spititualità; ma poco dopo scaturì, da questa esperienza, un nuovo dettato pregno di socialità, ma che costituisce il nerbo della sua creatività attiva. Uscito giovanissimo alla ribalta letteraria con il premio Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, la notorietà fu sua ben presto scovandolo dal chiuso grembo della provincia. Il primo volumetto Germogli è da considerarsi fondamentale per l'interesse che potrà avere uno studio della sua formazione. Vi sono qua e là, in queste poesie, a volte ingenue, punte caratteristiche del linguaggio che si svelerà dopo, indicative di presenze sociali, di melancoliche domande, di tormentose problematiche dell'anima che avranno la loro piena maturazione in Un garofano rosso: tormento dell'esistenza valutata in tutti i suoi aspetti, desideri di evasione per altre terre, di incontri con gli altri.
In questa raccolta, per grandi linee, è già presente tutto lo sfondo goriano: i continui sogni per uccidere la solitudine, i cieli impossibili della sua infanzia, desiderio struggente di capire <<il miracolo>> divino della vita, cieli alti, <<altissimi>>, stelle da rubare, mulinio di rondini; le attese lunghe, le attese delle madri, degli uomini, dei vecchi, dei ragazzi rimasti nella morte con gli occhi aperti al cielo, un desiderio di perdersi che batte un cuore di carne, il paese con i suoi angoli, con i cigolii delle ruote, con l'urlo dei cani nella notte e il canto dei carrettieri e un garofano rosso sempre ovunque, un fiore d'amore per il ricordo nell'atto stesso che viene vissuto, quasi che il poeta tema, a non chiamarlo così, di vederlo fuggire dalla memoria come le rondini del suo cielo pisano.
Il dolore dell'uomo
Quante nuvole di rondini nel cielo di Mario Gori! Le rondini dell'acqua; la rondine uccisa, le rondini pazze e rondini che <<fanno più dolce l'aria a primavera>>, e rondini ci sono <<che si portano il giorno>>, una che torna ed una rondine morta e <<nel tepore dolce del tuo nido di rondine>> la tenerezza del poeta soffoca una carezza; altrove ricorda <<la fionda che mirava alle rondini>> e una speranza ha ancora questo volo: <<Verrà la rondine dietro la brezza…>>.
Le sue prime esperienze vengono fuori dall'ambiente della sua infanzia, presente che si animano della sua inquietudine. Le partenze, le lunghe attese, vane, la solitudine, la nostalgia, il ricordo sono gli elementi più forti di questa poesia, resa con una originalità di modulazioni uniche. La rivoluzione, in Gori, iniziò prima ancora che, almeno in Italia, se ne avvertisse il fenomeno. Nelle raccolte inedite che ha lasciato, questo poeta è giunto alla completezza, con un suo verbo nuovo di interrogativo dell'esistenza. Raccolta già strutturate, (quelle inedite), e definite, dominate da una sostanza drammatica dell'esistere. Il segreto palpito del mondo, il dolore dell'uomo portano molte delle liriche più recenti davanti alla porta del distacco dalla terra.Nelle poesie d'amore, la donna è amata dal poeta in modo esaltante, ma mentre si fa sentire questa piena di passioni, in essa è già rifugiato il <<dopo>>, il non raggiunto, il perduto, il ricordo. Si sente intorno a queste, l'esasperazione tesa verso qualcosa di sicuro, di resistente alla corruzione del tempo e, al momento dello strappo, è già palese il testamento spirituale del poeta che matura la sua croce. L'amore è anche disperazione e ci conduce a problematiche più ampie di qualità metafisiche.
Scenario di questa inquietudine è a volte, ma comunque sensibilmente presente ovunque, il paesaggio della sua terra, denso di avvenimenti, di lutti: gli ulivi saraceni contorti nella loro danza, la campagna arsa, i tramonti, la desolata solitudine delle ragazze che covano negli occhi <<rancori e desideri>>, i papaveri rossi che scoppiano nel verde tenero, un vento malinconico sussurrante voci meste e serenate, e campane a rintocco per quelli che vanno soli al grande viaggio.
L'atmosfera di Un garofano rosso è quindi soprattutto pregnante di nostalgia e di malinconia, amarezza di un bene che si va perdendo; eppure a tratti, un richiamo accorato ad arrestare l'inevitabile. Le concezioni dello stato di sospensione fra il reale e l'irreale, nelle sue articolazioni umane e anche tragiche, sono sempre rispettate.
Un modo esatto di espressioni che dicono la straordinarietà della personalità di Mario Gori.
Quando anche le raccolte inedite verranno stampate, i critici potranno agire appieno e sarà utile e ben gradita la polemica, che ha una sua utilità per mettere in evidenza articolazioni sempre nuove.
Potranno venire meglio collocate le chiarità e le asprezze di questa poesia e si saprà che la chiarità della vera poesia si erge sempre sulle asprezze.


Renata Giambene



 
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