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Otto Pamio - Ritrattista dell'anima

Saggi e note critiche di Valeria Serofilli

Pisa, 18 Dicembre 2004 - Sala della Provincia di Pisa - L'opera pittorica di Otto Pamio


Apparsa in
Rondinet - Associazione Culturale

<<Ogni pittore, ogni poeta, ogni artista è sempre un suo da sé che ricompone i pezzi del suo tormento-vita, del suo amore-vita>> scriveva Renata Giambene¹ in una sua recensione storico-artistica.

E Pamio è così netto nel farsi riconoscere attraverso le sue tele che ogni accostamento risulta particolarmente complesso e impegnativo.
Tuttavia è stato per me necessario e anche arricchente operare tale confronto per scoprire nell'ambito della comparazione aspetti nuovi sia del pittore di cui parliamo oggi che dell'arte pittorica in generale.
L'artista, di origini laziali ma da lungo tempo residente nella città di Pisa dove ha lo studio in via Volta, ha iniziato la sua lunga carriera sia come pittore che come scultore di ceramica.
La sua opera verte soprattutto sulla
ritrattistica che si contrappone nettamente al filone della figurazione astratta e spaziale metafisica e il presente contributo intende focalizzare alcuni aspetti della produzione legata al ritratto.In arte il RITRATTO ha sempre avuto importanza sia per celebrare uomini politici o persone eminenti, sia per ricordare le persone scomparse.
Può essere
idealizzato, realistico o caricaturistico, oppure può proporsi di rappresentare le caratteristiche psicologiche (ritratto fisiognomico) o semplicemente l'aspetto esteriore generalizzato (ritratto tipico).
Quello del ritratto è, infatti, un genere figurativo nato allo scopo di tramandare nel tempo l'aspetto fisico di un individuo e i caratteri della sua personalità.
Il ritratto da la sensazione a chi lo guarda di poter recuperare la propria storia e la storia di chi vi è raffigurato; questo perché il quadro, come il libro, è la forma oggettiva del desiderio di lasciare nel tempo un segno di sé, il mezzo teoricamente più efficace per contrastare l'oblio della posterità e incidere nella memoria.
“Exegi monumentum aere perennius” scriveva Orazio (Carmina III 30) e ancora “il libro è come il quadro (...). E' vecchia questione se conti più il talento o la tecnica: non saprei a che servirebbe lo studio senza ispirazione, né l'ingegno senza la cultura. Hanno reciproco bisogno, sono amici”.
Queste parole del poeta di Venosa sono valide ancora oggi perché il bisogno ancestrale dell'uomo di lasciare una traccia tangibile del proprio percorso di vita e della propria esperienza rimane ineludibile.
Molti dei ritratti che ci sono pervenuti dal passato appartengono alla ritrattistica ufficiale: sovrani, condottieri, imperatori, papi, venivano raffigurati spesso in modo idealizzato, quasi come simboli del loro potere, della loro religiosità, del loro ruolo sociale.
Alla fine del Medioevo si sviluppò una ritrattistica più verosimile e più attenta all'aspetto reale delle persone. Generalmente il committente più che la somiglianza fisica, pretendeva dal pittore la perfetta rappresentazione del suo stato sociale. Il ritratto diventava così un documento, inconfutabile del rango, della professione, dell'identità sociale del soggetto,anche perché il ritratto dipinto da un artista era il lusso che si potevano permettere solo le classi aristocratiche o l'alta borghesia.
Quello di Pamio è un modo personalissimo di condurci nel ritratto. Nelle sue tele il soggetto è sempre rappresentato realisticamente, non idealizzato né sottoposto a particolari deformazioni di tipo espressivo, si tratti di personaggi appartenenti alla ritrattistica ufficiale, papi o condottieri, o della quotidianità, ma il ritratto resta comunque un documento inconfutabile della professione e dell'identità sociale del soggetto: in aiuto anche la tecnica iperrealistica, che sembra rapportarsi al genere del reportage o della foto pubblicitaria per il forte cromatismo e per la postura del personaggio, con un occhio rivolto all'opera di Andy Warhol e Lichtenstein per il fatto di usare la pittura come elemento espressivo di valori astratti. Somiglianza fisica e rappresentazione dello status sembrano in Pamio procedere di pari passo. Così se il fiammingo Hans Holbein nel ritrarre un ricco mercante della sua epoca circondava la figura di oggetti rappresentati con netta precisione, connessi con la professione quali cera per sigilli, il necessario per scrivere e altri oggetti di lusso, anche all'interno delle composizioni di Pamio sono inseriti oggetti come attributi iconografici del personaggio: un pallone da calcio in miniatura nel ritratto di Anconetani o l'elmo del corazziere nel ritratto di Carlo Azeglio Ciampi, opera quest'ultima, che ha la peculiarità di essere un olio su alabastro.
Nel dipinto di Tiziano a Vincenzo Capello (olio su tela XV sec., Washington) l'uomo quasi scompare sotto i segni della professione con cui si è identificato; così anche il ritratto di Pamio al Rettore Favilli per l'Aula Magna dell'Università di Pisa, ritrae il soggetto in atteggiamento austero e sguardo deciso con gli elementi della professione: libro, toga, medaglia, stola di ermellino. Fra i ritratti dei numerosi personaggi illustri, tutte tele ad olio di grandi dimensioni, s'impongono all'attenzione quello del Papa Giovanni Paolo II (del formato di m. 1.20 x m. 0.80) donato al Pontefice in occasione della visita del Santo Padre a Pisa, quello realizzato per il Presidente della Repubblica Cossiga, quello del premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia, dell'Arcivescovo di Pisa Mons. Plotti e dell'ex Sindaco dott. Prosperi nelle vesti di Giudice a Cavallo del Gioco del Ponte, e ancora il ritratto del Granduca di Toscana Leopoldo II nelle vesti di Cavaliere, eseguito per l'Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano.
E ancora nel 2001 realizza il ritratto di Padre Pio in occasione del gemellaggio della località senese Montecano con Pietralcina, mentre per il centesimo Anniversario dalla scomparsa di Giuseppe Verdi realizza le due tele quali il ritratto del celebre compositore (del '92) e la suggestiva “Trionfo dell'Aida”, donata al Teatro Verdi in occasione della stagione lirica del ‘93. E' del '96 il ritratto di Sgarbi, consegnatogli di persona dall'artista. Approfondito studio fisico e psicologico della figura è inoltre il Don Chisciotte.
Il tratto pregnante di ogni quadro sono lo spiccato efficace cromatismo, il disegno di bella struttura, oltre a un ordine compositivo di estrema armonia e chiarezza e le forme monumentali delle figure che conservano tuttavia aspetto di grande verità. Naturalezza di atti e al tempo stesso rigore formale e acuta caratterizzazione di personaggi che ritroviamo nel ritratto di Mons. Plotti: opera che per il sapiente accordo di colori ci riporta all'immagine raffaellesca di Leone X (1516 ca).
Purezza formale e effetto cromatico caratterizzano le tele dei personaggi illustri come quelle inerenti alle vicende storiche pisane, dal Gioco del Ponte alla Regata delle Repubbliche Marinare, dalla venuta a Pisa di Papa Giovanni Paolo II alle Giornate dell'Aria fino al cinquantenario della 46ª Brigata Aerea di Pisa.
Importante il quadro in memoria del Capodanno Pisano del 1999, donato dall'artista all'Arcivescovo Alessandro Plotti, con quel suggestivo fascio di luce che attraversa la Cattedrale decretando l'inizio del terzo millennio il 25 marzo del '99, secondo il calendario pisano. Il pulpito riporta a certe architetture del Crivellie il fascio di luce che attraversa obliquamente lo spazio pittorico ricorda il raggio divino che, sempre nell'Annunciazione del Crivelli, proviene dall'alto verso il basso anziché in senso inverso come in Pamio.
Recita la poesia “25 marzo 2000” scritta dal pittore-poeta in associazione al quadro omonimo:


<<A me il compito / (...) di stendere su tela
nella magia del colore / l'impasto
policromo / degli olii per datare con
il 25 Marzo 2000 / dello stile Pisano
(...) l'inizio del Terzo Millennio!>>.

Nella tela è riportato lo stile architettonico pittoresco e monumentale al tempo stesso, che mira a stabilire rapporti chiaroscurali mediante il movimento delle masse, la fusione di strutture architettoniche e la decorazione plastica e a creare vivaci effetti scenografici con lo sviluppo e le continue alternanze di spazi vuoti e pieni, di corpi rientranti e aggettanti.
Nel quadro raffigurante l'interno del Camposanto Vecchio osserviamo elementi tratti dalla realtà, come le statue su piedistallo dedicate agli uomini illustri sepolti a S.ta Croce.
Questo dipinto metafisico – spaziale ci riporta a De Chirico (ad es. il Palazzo Della Civiltà del Lavoro a Roma).
Degna di nota la serie pittorica dei figuranti e bandiere del Gioco del Ponte, tradotta dall'editore Lischi in cartoline filateliche donate a Pertini e a Cossiga e le cartelle litografiche relative al Gioco sequenza di immagini e di colori fedeli alla realtà storica.
Suggestiva la tela dedicata all'”Astrolabio”, premio letterario a suo tempo fondato dalla scomparsa Renata Giambene, interrotto nel 2000 per quanto riguarda la sezione poesia e ora dalla scrivente ripristinato nella 1ª edizione del nuovo millennio.
Il quadro di Pamio raffigura l'ascesa del poeta alla onquista dell'Astrolabio incastonato nel monte a guisa di faro: come l'astrolabio infatti è l'antico strumento che misurava l'altezza apparente degli astri sull'orizzonte, ora sostituito dal sestante, così la poesia è il faro della vita umana.
Scrive Pamio – poeta, nella lirica associata al quadro omonimo:

<<(…) Ti hanno voluto, / emblematico
simbolo / di un prestigioso premio /
che porta “Astrolabio” / il tuo nome./
Sei la meta / che scolpirà nella
Roccia / anche del “poeta” il nome (…).
(…) tu, / “Astrolabio” / come faro / del
monolito monte, / sarai, / dell'umana
mente, / la guida della fervida
fantasia /(…).

Oltre ai ritratti e alle tele “spaziali”, suggestiva è la natura morta che si pone come una interpretazione del caravaggesco ”Cestello di frutta” (del 1546) in cui i particolari sono fissati con lucida oggettività. La verità dell'oggetto emerge pienamente per l'assenza del soggetto; la veduta dal basso fa si che i frutti risaltino maggiormente. A cambiare è lo sfondo, scuro in Pamio, chiaro in Caravaggio.
Tra le tele di soggetto sacro suggestiva è quella raffigurante il cristo dormiente che nel virtuosismo dell'ardito scorcio riprende l'opera di Brera del Mantenga senza ricalcarne tuttavia la forte drammaticità.
Dalla varietà di scelta del repertorio iconografico e specificatamente pittorico emerge un certo eclettismo che tuttavia permette all'artista di passare con facilità dall'astrattismo al realismo, dalle opere di concetto a quelle della cartellonistica pubblicitaria ma organizzate in modo che assumano un'aurea metafisica.
<<Sono sincero sempre>>, dice Pamio nel corso di una intervista, <<sia nella pittura che nellascultura, nel verismo che nell'astrattismo>>.
La bellezza di Pamio consiste proprio in questa sua capacità di indagine sociale.
Quanti sanno ancora parlare agli altri attraverso un interno, un paesaggio o una figura?
Pamio è in grado di farlo, rendendo il quadro vivo e palpitante in un felice connubio di tecnica e ingegno.
Recita un frammento di Epicuro che <<Il saggio è un Dio tra gli uomini>>: forse non è errata l'affermazione che la vera e grande saggezza è nell'arte e che quindi proprio l'artista partecipa dell'eternità divina.

Pisa, 18 Dicembre 2004


Note:
1. Renata Giambene, “Virginio Bianchi - Il pittore della buona gente”, 1980.

Per il presente contributo sono stati consultati i seguenti testi: M. C. Prette, A. De Giorgis, Leggere l'arte, storia linguaggi epoche stili, ed. Giunti, Firenze 1999, Bairati – Finocchi, Arte in Italia, Loescher ed. Torino, 90.




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