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Nota di lettura di Ivano Mugnaini a I Gigli di Nola di Valeria Serofilli

I Gigli di Nola

Nota di lettura di Ivano Mugnaini al volume I Gigli di Nola di Valeria Serofilli

Quando ho iniziato a leggere il volume “I Gigli di Nola” di Valeria Serofilli mi sono trovato di fronte ad alcune incognite, alcune sfide. La prima, di più ampio respiro, quella di proporre un’interpretazione, una visione d’insieme, di una manifestazione complessa ed articolata, una Festa che è insieme fenomeno sociale, culturale ed economico, soggetta a valutazioni divergenti se non decisamente contrapposte. La seconda incognita era di natura più personale. Una mia istintiva ritrosia, una certa tendenza a valutare in modo critico alcune espressioni di entusiasmo popolare in cui l’elemento spettacolare appare eccessivo, debordante, talvolta a discapito delle motivazioni più intime e profonde.
Ebbene, grazie alla lettura del libro di Valeria Serofilli, le sfide iniziali sono state vinte e le incognite felicemente risolte. Il volume è così ricco di dettagli, atmosfere, sfumature, di partecipazione genuina da parte dell’autrice, che è come trovarsi davanti agli sguardi della folla che prende parte alla Festa. Se ne percepiscono i suoni, gli umori, si visualizzano i gesti. Ma soprattutto, ed è un aspetto di rilievo ancora maggiore, si percepisce ciò che c’è dietro e dentro quelli sguardi. E’ proprio in quest’ottica, grazie a questa capacità di penetrazione, che l’incognita più ardua ha trovato soluzione. La lettura del libro consente di cogliere in modo netto i valori che fanno da base e da substrato all’evento meramente spettacolare. Al di là della superficie, a fianco della folla urlante che affolla vie e piazze inneggiando ai propri colori, c’è una tradizione antica, c’è il senso di coesione, una storia, una leggenda, l’interminabile fil rouge che unisce presente e passato. C’è il sapore di gesti che si ripetono da secoli. Non per mero ossequio ad una ritualità, ma, piuttosto, per la saldezza genuina della continuità, il recupero costante di un senso che dà spessore ad un presente non di rado scialbo, incolore.
Nella Festa c’è il sogno, il ribaltamento dello statu quo, il rovesciamento dell’attuale, dell’ineluttabile quotidiano. Si percepisce, nei singoli momenti e nella progressione diacronica, nei riti e nelle fasi di cui è costituita, qualcosa di ancestrale, il sudore, la passione, una dimensione che genera sentimenti forti e ne è sua volta generata. La radice prima è la fede, ma accanto ad essa coesistono e si diramano il senso di appartenenza ad un gruppo, la rivalità, lo spirito di emulazione, la riconciliazione nel nome di emblemi comuni.
Nella società attuale, fatta di strutture imposte, spesso di natura freddamente tecnologico-commerciale, queste manifestazioni hanno il potere di restituirci qualche attimo di autenticità, seppure a volte essa stessa sommersa ed attaccata ai fianchi dall’inesorabile aggressione dei poteri economici che tendono a standardizzare ed inglobare. Ma sapendo guardare, sapendo resistere, sapendo scavare al di là della trincea, si può ancora cogliere, in uno sguardo, un suono, un gesto, la tenace persistenza di un folklore che è patrimonio popolare ancora in grado di tener vivi il senso, l’emozione, la poesia.
E’ proprio per questa ragione, per questo umanissimo e tenace bisogno, che manifestazioni folkloriche apparentabili a quella dei Gigli di Nola sono diffuse, sebbene con riti ed approcci differenti nelle forme e nei modi, in varie parti del mondo. Cambiano gli aspetti esteriori ma, a livello di spirito, di simboli e motivazioni, sono notevoli le affinità. A queste connessioni antropologiche l’autrice dedica in questo volume spazio e rilievo, con una trattazione documentata corredata anche da immagini e fotografie.
Coloro che conoscono Valeria Serofilli come poetessa, in particolare per il libro di recente uscita “La tela di Erato”, resteranno in qualche modo sorpresi leggendo questo libro, o, meglio, acquisiranno elementi di valutazione nuovi. L’impostazione che è alla base del volume dedicato ai Gigli di Nola è, infatti, del tutto scientifica, lascia poco spazio alla creatività, al volo pindarico. La struttura è precisa, esatta, sistematica.
C’è una spiegazione alla base di questo che va ricercata nella genesi del libro. Il volume “I Gigli di Nola” nasce come tesi di laurea in Storia del Teatro e dello Spettacolo sostenuta nell’Ateneo di Pisa. La tesi ha poi ottenuto l’attenzione e l’apprezzamento delle autorità di Nola e dei promotori della Festa che ne hanno promosso, anche grazie ad alcuni sponsor, la pubblicazione in volume nella forma attuale di riproposizione in chiave artistico-sociologica della tesi di laurea originaria. Della tesi il libro conserva, come detto, il rigore, la completezza, la catalogazione attenta di fatti, eventi, riferimenti.
Mi contraddico tuttavia, e lo faccio molto volentieri, affermando che, da un certo punto di vista, il libro è anche poetico. E’ preciso, ordinato, ma niente affatto sterile. Racchiude e trasmette il senso di una partecipazione vera. Come fa osservare il Professor Aniello Montano nella valida prefazione al libro, la forza propulsiva di questa partecipazione è in primo luogo la curiosità. Curiosità nel senso migliore del termine, come voglia di vedere, compenetrare, condividere. E’ così che l’autrice, pisana di studi e di residenza, è stata in grado di entrare nel vivo dei meccanismi tecnici ma soprattutto psicologici della Festa. Per certi versi, in modo paradossale ma forse neppure troppo, potremmo dire che ha acquisito una visione più ampia degli stessi nolani, o almeno più nitida per certi versi. Non essendo nativa né abitante della città, è in grado di abbinare un alto grado di coinvolgimento con il distacco, il senso della prospettiva, la lucidità. Riesce ad essere dentro la manifestazione e allo stesso tempo all’esterno, in posizione ideale di osservazione ed analisi.
Ed è sempre per questa ragione con ogni probabilità, per la curiosità genuina e lo sguardo serenamente attento, che è stata accettata così di buon grado dagli studiosi nolani e dagli organizzatori della Festa. Non si è presentata l’autrice con lo sguardo saccente di chi scruta gesti e persone come se partecipasse ad un safari fotografico, né con l’alterigia di chi pretende di comprendere tutto all’istante. Ha dimostrato attenzione reale ed affetto. Ha percepito e vissuto, non solo annotato e catalogato.
Proprio l’emozione, la chiave della passione popolare che nutre la Festa e da essa trae nutrimento, prende corpo e sostanza dall’elencazione di oggetti e gesti. Valeria Serofilli descrive con cura l’evoluzione della Festa, sia nello spazio breve delle singole celebrazioni sia nell’arco più ampio delle trasformazioni che hanno avuto luogo nei secoli. Dai semplici fiori con cui veniva accolto San Paolino al suo ritorno dalla prigionia in terra africana, si passa, attraverso gli anni, alle attuali strutture alte fino a venticinque metri. Eccesso di zelo, spirito di emulazione, o manifestazione di fede che si manifesta in modo tanto plateale quanto genuino? Da osservatore esterno, attento in particolare agli aspetti umani, sociologici, “umanistici”, potrei dire, credo che la Festa di Nola appaia, anche sulla base della lettura del libro, un complesso coacervo di tutte le componenti elencate. Ma la spinta emotiva che emerge, alla fine, sa, al di là di tutto, di autentico, di vissuto in modo intenso. E questo salva e sublima anche gli aspetti soggetti all’azione corrosiva di “agenti” meno nobili.
Al di là e al di sopra di tutto colpisce la capacità della manifestazione di coinvolgere ancora, anche in quest’epoca fatta di telefonini cellulari, pubblicità diretta e indiretta ma inesorabilmente onnipresente, tecnologia e tecnocrazia. Colpisce soprattutto il richiamo che esercita sui giovani. Nonostante tutto, nonostante le frustrazioni, nonostante la carenza di sbocchi e le difficoltà, restano legati visceralmente alla Festa, a quell’insieme di gesti, conoscenze ed azioni apprese e condivise che ne costituiscono l’essenza.
Crescono con le immagini della Festa. Con le immagini ed i ritmi. Con la musica, spesso tarantella, che ripropone anche dal punto di vista del suono, della melodia, il richiamo antropologico alle radici antiche, ai riti propiziatori della fertilità e di inserimento dei giovani nella società adulta.
Ritorna e si ripropone il discorso della crescita dei nolani nella Festa e attraverso la Festa. L’immagine che simboleggia in modo emblematico questa connessione è a mio avviso quella dei Gigli legati tramite le corde ai terrazzi, alle mura ed ai tetti delle case di Nola. Autentici cordoni ombelicali appaiono le corde, e come tali nutrono la passione e ne vengono nutriti. Un’immagine poetica e rivelatrice che Valeria Serofilli ha identificato e adeguatamente evidenziato.
E’ la passione, anche e soprattutto, a dare linfa alla Festa. La passione, assimilata sin dall’infanzia, conduce i “collatori”, ad entrare a far parte delle “paranze” per trasportare le pesantissime strutture dei Gigli.
“Collatore”, una parentesi di stampo strettamente linguistico si impone, è termine che si presta ad un’intrepretazione bivalente, polisemica. Fa pensare certo all’azione di accollarsi il peso della struttura da trasportare, ma, in virtù di un’etimologia forse creativa ma che appare consona, richiama anche l’azione di “cullare”. I Gigli infatti, nonostante lo sforzo enorme dovuto alla loro imponenza, vengono cullati durante la processione, condotti in una danza ritmata a passo di musica.
E’ la passione che conduce i collatori ad accettare ed anzi ad esporre con orgoglio il “pataniello” o tumore di San Paolino, l’escrescenza che si forma sulle spalle a causa del peso della struttura. Nei volti dei collatori è racchiuso il segreto e forse il senso più vero e recondito della Festa. Un’insieme di sensazioni e motivazioni complesse, conflittuali. C’è esaltazione, competizione, vera e propria trance. C’è la fusione alchemica di fede e tradizione atavica, precristiana. Ma c’è soprattutto l’impronta dell’umano, il bisogno, a volte imperfetto e contraddittorio ma sempre prezioso, di legarsi visceralmente alle proprie radici terrene e allo stesso tempo di tentare il dialogo con qualcosa che va al di là della misera contingenza, della realtà quotidiana.
Proprio sulla realtà, sulla condizione di ogni giorno, la Festa esercita, anche a livello di gerarchie sociali, un notevole potere di rinnovamento-rovesciamento. Nella prima fase, quella in cui i comitati organizzatori fanno visita agli altri, si stabilisce una condizione di uguaglianza, “orizzontale” potremmo dire, evidenziando il piano di parità che si viene a creare.
Nella seconda fase i Gigli vengono collocati nella piazza centrale attorno alla Barca. La gerarchia verticale è ristabilita. Ma nella fase successiva, il culmine della manifestazione, si assiste dapprima all’offerta dei fiori al vescovo, con una significativa rinuncia dei comitati al proprio simbolo, e, in seguito, alla Processione in cui i Gigli, seppure in competizione, sfilano a fianco, uniti, uguali. L’ordine verticale torna soltanto alla fine della Festa, quella in cui riemergono le stratificazioni sociali.
Secondo alcuni studiosi, in particolare per il Professor Manganelli, la Festa nolana evidenzia una mentalità astorica. Esprime, tramite il ricorso incessante alla tradizione, il rifiuto del cambiamento. Secondo tale visione il legame con riti secolari ed il perenne riferimento al mito salvifico contengono intrinsecamente il timore del mutamento, soprattutto sul piano sociale. In queste autorevoli intrepretazioni c’è di sicuro una base di verità. Non è da escludere né da sottovalutare tuttavia anche l’elemento evidenziato precedentemente. La Festa appare uno dei pochi momenti di integrazione. Un’occasione in cui tutti i gruppi sociali sono coinvolti e posti su un piano di parità. Tra le “istantanee” della manifestazione che permangono con maggiore intensità nella memoria c’è quella in cui si vedono le braccia dei collatori strette le une alle altre, saldate assieme a formare un blocco unico, un solo organismo. Tutti appaiono essenziali, uniti da un’identico intento.
E’ con ogni probabilità questa sensazione di uguaglianza, unita al potere della ciclicità, che rende la Festa nolana capace di resistere al trascorrere del tempo suscitando attese e partecipazione. La Festa nasce quando muore, recita un detto diffuso a Nola. Appena conclusa si pensa alla prossima edizione, in un senso di continuità che si perpetua nella passione di un popolo. E, anche grazie alla lettura dell’interessante volume di Valeria Serofilli, scritto con
emozione oltre che con raziocinio, è possibile cogliere valori e significati che, partendo dagli aspetti specifici della celebrazione nolana, si estendono a valutazioni ed impressioni di carattere più ampio che concernono l’uomo in genere, le sue radici antropologiche, le sue passioni, le aspirazioni, gli aspetti profondi e sinceri che ne determinano l’identità più autentica.

Ivano Mugnaini










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