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Domenico Defelice, Nenie ballate e canti, Ed. Le Petit Moineau, Roma 1993.

Saggi e note critiche di Valeria Serofilli

Nota di lettura di Valeria Serofilli relativa al testo Nenie ballate e canti di Domenico Defelice, con particolare riferimento alla ballata.
Apparso su
Pomezia-Notizie Anno 12 - (Nuova Serie) - n. 3 - Marzo 2004 -

Nenie ballate e canti dal valore universale questi di Defelice, in quanto caratterizzati da una forte carica di denuncia etica alla quale si affianca, trattandosi di vera poesia, una grande forza liberatoria. Emerge vivida in questo contesto la massima di Goethe nella quale afferma che: <<La vera poesia, è riconoscibile dal fatto che ha potere liberatorio. La vera poesia ha la capacità di liberarci come un Vangelo laico, dai gravami terreni che ci opprimono …>>.
Si tratta di composizioni inserite nella raccolta edita nel '93 per i tipi de Le petit Moineau di Roma.
Forme quali il canto, espressione primordiale che precede la musica, simbolo della parola per eccellenza, ben si prestano allo scopo dell'io–poeta, così come la forma di ballata che si adatta perfettamente alla lucida schiettezza di Defelice, strutturandone il pensiero in uno schema non rigido di ritmi e rime.
Del resto Carducci considera la ballata come <<la forma della poesia più sensibile e colorita, comune al popolo e ai borghesi non che ai poeti propriamenti detti quando al popolo volevano rivolgersi>>.
Nella “Ballata di Carnevale”, il ritornello o ripresa, elemento che distingue la ballata dalla canzone, è rappresentato dai versi<<mi son trovato a Roma / durante il carnevale,/ che non è quello di Viareggio / e non è quello di Rio.//>>.
In quanto l'esempio appena citato è di quattro versi, secondo la Summa di Antonio da Tempo si tratterebbe di ballata grande, contrariamente alla ballata minore avente una ripresa di due versi quale ad es. la “Ballata dell'alzata tardi”, con variazione della ripresa: <<Che gioia alzarsi alle sei / in un giorno di lunedì! / >>. In queste composizioni il tema viene enunciato nella ripresa e ampliato nelle strofe successive numerose, brevi e martellanti nell'elementare rima finale.
Una ballata, quella del Carnevale, di versi senari alternati a ottonari e novenari/ che somiglia alle laudi spirituali e alle danze sacre e che rammenta Guittone e in particolare la versione più elaborata e non esclusivamente mistica di Jacopone da Todi. Al verso breve e ciclico della ballata Defelice, immaginatosi di colore, affida la sua amara tristezza tra le maschere inneggianti al carnevale (<<accecato dai coriandoli / io, misero senegalese / sognavo torte giganti / per gli scheletri del mio Paese./>>); oppure consegna il suo crudo e velenoso sarcasmo per la morte del piccolo Alfredino Rampi, la cui raccapricciante immagine del piccolo corpo stipato nel pozzo non a caso è riportata in copertina.Ad essa si associa, in martellante refrain, la rima baciata <<io mi compro un maritozzo. / Soffrirà quel ragazzino / conficcato dentro il pozzo?/>>. Il laudario iacoponico è in questa ballata velenosa in morte di Alfredino più che mai presente nella sua profonda riflessione sulla vita, sulla virtù, sull'ipocrisia e sui vizi umani.
Il carattere ciclico della ballata si ritrova anche in canzoni quali “Il canto per Goldrake di un bambino afghano” secondo Antonio da Tempo definibile come ballata minore perché con un ritornello di due versi : <<Vieni, eroe d'acciaio, / a liberare il popolo afghano!/ >>.
Questa ripetitività è tipica anche della nenia, canto in movimento piuttosto lento, ritornante ad ogni verso sulla stessa formula melodica: recita la “Nenia di Natale” <<figlio dal ciel deciso, / Figlio verrai ucciso..>>, con variazione della ripresa.
Defelice, uomo del sud, gode di personalità versatile e commossa da esterni impulsi, ma anche di subitanee riflessioni che nascono dall'intima capacità di interiorizzarsi. Il significato dell'insieme crea il poieo, verbo dal vocativo significato di creare. La raccolta scritta tra il 1977 e il 1989 conduce il lettore, lirica dopo lirica, ad una continua riflessione politica, morale e religiosa, perché Defelice è se stesso ma è anche voce dell'uomo: voce di denuncia che nel momento stesso in cui si manifesta esplica una funzione esorcizzante, oltre che garantire il godimento estetico che sempre la vera poesia, per sua natura, possiede.

Per il presente contributo sono stati consultati i seguenti testi:
1. G. Sica, Scrivere in versi, metrica e poesia, ediz. Net, 2003.
2. A Marchese, Dizionario di retorica e stilistica, Mondadori, Milano 1982.




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