Il carpitore di stelle, Libroitaliano, Ragusa, 2001 - Premio Selezione - Ragusa 2000 - Home Page di Valeria Serofilli

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Il carpitore di stelle, Libroitaliano, Ragusa, 2001 - Premio Selezione - Ragusa 2000

Renata Giambene
Prefazione

L'editrice Libroitaliano ha giustamente sentito la necessità di realizzare un'antologia che raccogliesse il meglio dei versi contenuti in tredici volumi in quasi cinquant'anni di attività di Renata Giambene, scrittrice di razza che, sicuramente ha raccolto meno di quanto avrebbe meritato. Ma Renata, pur essendo tra le migliori scrittrici italiane e che ha alternato ai versi un'attività narrativa non indifferente, è sempre stata fuori da certi gruppi commerciali, da apparizioni televisive, da compromessi e da blandizie per poter pubblicare su case editrici di grande struttura e questo fa sì che sia nota quasi esclusivamente agli addetti ai lavori.
Scrittrice fuori dagli schemi, è legata a un proprio mondo, estremamente vario (Gaetano Salvati l'ha definita "scrittrice dalle molte corde") sorretto da freschezza e da elegante sobrietà.
Mentre nella narrativa assume spesso un impegno umano e sociale, scavando sugli eventi e sui personaggi la Giambene, nei versi, fa prevalere il fatto esistenziale, che va dal ritorno all'infanzia ai ricordi del passato remoto, dal presente malinconico a un futuro affrontato con fermezza e dignità. Aleggia sull'intera produzione letteraria una sorta di attesa di qualcosa che deve avvenire, il cui fascino è rappresentato da un affabulante discorso di dimensione universale. E una poesia, comunque, che tende all'essenziale, pur nella sua estensione verbale, dove l'ispirazione è concentrata sull'uomo, più che sulle cose, che sa assumere un certo distacco in un dettato sempre lucido, dalle sfumate dimensioni. Nella sua pacatezza espressiva, c'è una profondità di sentimento, che viene tenuta costantemente sotto controllo.
Poesia lontana da mode e da tendenze passeggere, priva di forzatura, le cui tematiche variano nell'ampio spazio della quotidianità privata, in versi dai tenui colori. Ma è anche poesia che vive nel presente, tiene d'occhio il passato e sa cogliere le caratteristiche di un arco di tempo che va dagli anni cinquanta ai nostri giorni, sempre con plasticità di tocco e con sicurezza di rappresentazione. Ne scaturisce un tentativo, pienamente riuscito, di conciliare il vissuto con l'immaginario sempre attraverso un impasto carico di significati. Poesia costruita su sensazioni e sui sentimenti, lontana da crogioli enfatici e da canoni scontati.
A volte è protagonista l'amore (come in Letti etruschi) o la morte (Tempo di sinopia) o uno sguardo di più caratterizzata oggettività (I semi delle cose) o, ancora una maggiore riflessività sulle problematiche della società (L'orso di pezza). Ma restiamo sempre su alti livelli rappresentativi. Si passa dagli esiti post ermetici e lirici dei libri più lontani nel tempo a un sempre maggiore controllo dei versi, dove il tumulto delle passioni e dei sentimenti, rimane sul fondo delle espressioni. E' sempre presente ma, a prima vista, non compare.
E si perviene a Tavola apparecchiata il più semplice, dal punto di vista strutturale, dei libri di Renata Giambene, ma forse il migliore, in quanto la metafora avvolge tutte le composizioni, ricche di armonia e di equilibrio. Il titolo, di questo suo ultimo volume di versi, rappresenta un quadro tipicamente familiare di una storia non narrata, ma solo accennata. I protagonisti (noti solo a chi conosce la vita e le vicende dell'autrice) sono il marito e l'unico figlio, scomparsi qualche anno fa. Ma non ci sono lacrime, solo un triste sorriso e un ricordare tenero, sfumato e senza elegie. C'è un continuo infiltrarsi di voci e di ricordi, che hanno il sentore di una scoperta, a testimonianza di valori profondi e di sentimenti lancinanti. I versi sono asciutti e taglienti da cui i personaggi (sempre i due assenti, non nominati ma adombrati) emergono dalle ombre della memoria, così come erano da vivi, in un momento della loro esistenza. In questo modo, da squarci di realtà, scaturisce un concreto e poetico colloquio attraverso il quale, quella della Giambene, diventa una lirica di alto valore espressivo.

Emanuele Schembari


Nota di lettura de Il carpitore di stelle

Ne Il carpitore di stelle la poetessa Renata Giambene raccoglie una scelta di poesie tratte da tredici volumi della sua fervida attività di scrittrice. Questa scelta non è a caso, poiché mira a rappresentare l'optimum della compagine lirica dell'autrice in quanto vediamo individuati momenti lirici particolari per ispirazione e per espressione.
Partendo da tale presupposto indicativo, c'inoltriamo a cogliere il valore dell'insieme del libro nelle molte direzioni e nei molti aspetti che caratterizzano un'opera d'arte poetica. Anzitutto osserviamo che pur nella varietà dei contenuti trapela un sottofondo di armoniosa unicità di pensieri e sentimenti. A sostanziarla sono l'introspettiva interiorità di Renata, la sostenuta riflessività e l'occhio pronto all'osservazione. I tempi variano dentro l'unico impulso. Vediamo che l'autrice sa l'esistenza, il dolore, la tristezza e anche il piacere. La vita è ricca di ogni avvenimento, e per tutti. Tra questi tutti s'include Renata, coinvolta dalla fatale presenza dell'umano destino. La sua voce vibra di angoscia, di pietà per le inique sorti che l'uomo subisce. Ma ecco, subentra il blando desiderio di qualche schiarita, di qualche sollievo spirituale. Ciò è reperibile nel vagheggiamento, nella contemplazione del passato, da dove affiorano visioni, ricordi, momenti densi di significati, di belle immaginazioni. Tuttavia l'Ego profondo di Renata ritorna alla dimensione del dolore, ne conosce l'esistenziale verità vissuta in una rete di “lacrime e sangue / nell'infinito patimento del vivere”. Così i suoi versi. Ma Renata sa sollevarsi con un immaginario conforto, il sogno, abbandono del pensiero. Non certo, presto si scopre l'illusione la vacuità di una fantastica visione, allora lei prorompe delusa “ma ho sognato, ho sognato”. La realtà dunque è in un inevitabile scontro tra l'attesa sospirosa e il suo antidoto contraddittorio. Allora accettiamo l'”Aria di autunno”, aspiriamone la tristezza, la mestizia, ma nella sua atmosfera “ci sentiamo più vivi / Inutili ma vivi / incapaci ma vivi”. Mi piace questa riflessione. In fondo ci sia vita pur nelle insulsaggini.
Quando urge la rievocazione del suo passato, i ricordi sono brani di vita che si rinnovano al presente. Esistono sempre giorni della sua infanzia, esistono sempre le care figure dei familiari scomparsi. Sono accennati più che rappresentati, ma il tocco lieve della sua sensibilità artistica, le eterna. Il ricordo del padre giunge a renderlo immortale non è abuso di fantasia, ma semplice desiderio nella memoria di chi continua ad amarlo. La trasfigurazione poetica è evidente: bimbo-padre al di là del vivere, al di là della morte.
“Nel mio petto ti rincorro fanciullo e in me ti porto ora che sola / bimbo padre ti nutre la memoria”. Osserviamo anche memorie che si posano su scene all'aria aperta, sono acquerelli vivaci e deliziosi in cui emerge la compiaciuta ammirazione della poetessa per ciò che è semplice genuino appartenente alla natura.
Possiamo dire che quasi tutte le poesie di Renata si stendono su una vasta pianura in cui vive l'Amore. E' sentimento profondo di dedizione, di intatta fede. L'amore è sempre. Non si lascia uccidere dalla morte che spia, aspetta ma non separa gli affetti più cari dentro una casa in cui Renata si pone perché “figure certe di mia gente affresco”. Ma è anche amore quello che va ai deboli, ai sofferenti, più realistico ed esistenziale, o a quello che va a chi non ha soldi e s'appaga dell'armonia quotidiana di ciò che accade comunemente. Renata afferma tante verità: la tristezza e il dolore esistono, ma la vita è più forte e grida contro il male e l'ingiustizia, anche se è inutile. Questo lei ci comunica a prova delle sue esperienze. Infatti sa vivere con la gente ed è sollecitata da sentimenti di altruistica commiserazione e immediata pietà. Vediamo allora che la poesia di Renata si apre all'umano colloquio sceneggiato come nella raccolta L'occhio della mosca, dove sottolinea argomenti di attualità sociale. Tuttavia il suo vero colloquio avviene con se stessa quando esprime la piena dei suoi tumulti interiori spesso arginati da un controllato senso di dignitosa reticenza. Non disperato singhiozzo, ma pianto silenzioso. Nella bella raccolta Le albe i venti ciò è notabile particolarmente. I due elementi hanno significato quasi sempre metafisico, rappresentano l'innesto immaginario sul reale: le albe come inizio, apertura di ogni tempo, di ogni particolare momento episodico, i venti come dispersione e concentrazione di umani accadimenti. Sono quindi visti da lei come partecipi e spettatori speciali, presenze essenziali in piccoli momenti e brevi episodi personali o collettivi. Troviamo spesso in essi versi sorridenti e sereni guizzi scherzosi, pacati sottintesi. Tuttavia dentro, in fondo all'anima prevalgono le coscienza, il sentimento del dolore nutrito da ricordi congiunti all'oggi. Chi permette tanto dolore. Lo troviamo in una espressione rivelatrice “Signore imperfetto” di pag. 164. Altre volte Renata nomina Dio e non mi sembra che per lei sia tanto misericordioso e sempre buono, spesso dona per togliere. Lei lo sa. Tuttavia crede, anche in un Signore imperfetto, in un Signore a cui l'uomo assomiglia come si dice nella Bibbia.
Per concludere non è possibile in breve tempo dire tutto sulla poesia di Renata Giambene tanto ricca nella sua compendiosa essenza lirica, tuttavia si può ancora affermare che questa grande poetessa rappresenta la nostra età contemporanea. L'attualità dei contenuti e l'espressività dello stile confermano il suo alto valore lirico appartenente al tempo di oggi.

Elena Celso Chetoni



 
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